lunedì 8 dicembre 2014

Rumori derivanti dall'impianto di riscaldamento condominiale.

Le immissioni che superano la normale tollerabilità ai sensi dell'art. 844 c.c. integrano gli estremi di un fatto illecito: a nulla rileva che la fonte immissiva sia a norma e mantenuta a regola d'arte da personale tecnico qualificato.
Il caso. La pronuncia in questione origina dall'azione promossa da due coniugi, proprietari di un'abitazione in condominio, i quali lamentavano che i rumori provenienti dai tubi dell'impianto termico condominiale superassero la normale tollerabilità ex art. 844 c.c., e chiedevano, conseguentemente, che il Condominio realizzasse tutti gli interventi idonei a rimuovere o attenuare i rumori medesimi, nonché risarcisse loro i danni materiali e morali derivanti e derivati dall'evento immissivo. Vittoriosi dinanzi al Tribunale, i coniugi risultavano soccombenti in appello: il Giudice del gravame - pur avendo accertato, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che «il fenomeno [immissivo] è definibile come rumore impulsivo ed è superiore alla normale tollerabilità relativa alle condizioni dei luoghi di cui all'art. 844 c.c.» - dichiarava infondata la pretesa risarcitoria per assenza di «qualsivoglia prova, neanche allegata, della parte che aveva l'onere di farlo su comportamenti dolosi o colposi posti in essere dal condominio». Gli attori-appellati ricorrevano dunque in cassazione.
La soluzione. La Suprema Corte ha giudicato fondati i motivi posti a sostegno del ricorso, osservando in primo luogo che «l'azione di cui all'art. 844 c.c. è uno strumento di tutela che consente di ottenere la cessazione del comportamento lesivo, oltre, ovviamente, al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla lesione del diritto dominicale, nonché, come ha chiarito la dottrina più attenta, al risarcimento del danno non patrimoniale ove siano stati lesi i valori della persona, in particolare, della salute di chi ha il diritto di godere il bene compromesso dall'immissione». E dopo aver chiarito che, nonostante il rispetto degli standard pubblicistici di esposizione al rumore, è peraltro possibile che l'immissione risulti nel singolo caso intollerabile (o illecita), afferma: «Quando viene superato il limite della liceità delle immissioni, segnato dall'art. 844 c.c. [circostanza, come detto, accertata già nei precedenti gradi di giudizio], si è in colpa, ancorché si faccia uso normale della cosa fonte delle immissioni, e, se da ciò deriva danno ad altri, il danno è ingiusto, in quanto ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista dall'articolo 2043 c.c. In particolare […], l'accertamento del superamento della soglia della normale tollerabilità […] comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del c.c. e, specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'articolo 2059 c.c.». 
Quando l'evento immissivo diventa intollerabile La normale tollerabilità deve dunque essere intesa come soglia oltre la quale l'immissione diventa illecita: se sono superati i limiti dettati dalla normativa speciale (in materia di aria, acqua, rumore, ecc.), l'evento immissivo è sicuramente intollerabile. È tuttavia possibile che l'immissione sia comunque ritenuta intollerabile anche nell'eventualità in cui i richiamati limiti vengano rispettati: al riguardo, la Cassazione ha infatti stabilito che, mentre è da considerarsi sicuramente illecita la condotta che violi la disciplina speciale in materia di rumori e di limiti massimi di tollerabilità, al contrario il rispetto di tali livelli di accettabilità non implica, automaticamente, la liceità delle immissioni. La tollerabilità di queste ultime deve essere infatti valutata alla stregua dell'art. 844 c.c. (Cass. civ., 17 gennaio 2011, n, 939) : non si deve dimenticare, come peraltro ribadito nella pronuncia in commento, che la disciplina dettata dal codice in materia di immissioni mira a tutelare un interesse privatistico, e si mantiene così distinta dalla normativa di diritto pubblico sull'inquinamento acustico, elettromagnetico, da elettrosmog, ecc., che riguarda invece la protezione di un interesse collettivo più ampio. Si deve poi rilevare un altro aspetto: il limite della normale tollerabilità ha carattere relativo, nel senso che non può essere fissato, una volta per tutte, entro parametri predeterminati, ma deve essere individuato «con riguardo al caso concreto tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione» (Cass. civ., 3 agosto 2001, n. 10735; Cass. civ., 11 novembre 1997, n. 11118; 29 novembre 1999, n. 13334; 14 agosto 1990, n. 8271).
Profili probatori del danno da immissioni Va inoltre ribadito che l'azione ex art. 844 c.c. può essere esercitata anche nel caso in cui si assumano il pregiudizio e la compromissione delle situazioni giuridiche soggettive rappresentate dal diritto alla salute (artt. 2 e 32 Cost.), diritto da intendersi peraltro non solo come diritto all'integrità personale, ma anche come diritto ad abitare in un ambiente salubre e privo di fattori potenzialmente pregiudizievoli della integrità psichica dell'individuo. Ai fini della tutela di diritti costituzionalmente rilevanti, quali la proprietà e la salute, minacciati da fattispecie immissive intollerabili, si ammette poi il cumulo dell'azione risarcitoria per lesione della proprietà e del bene salute, fondata sia sull'art. 844 c.c. sia sull'art. 2043 c.c.: può considerarsi ormai consolidato il principio secondo cui dalle immissioni intollerabili deriva, di per sé, una lesione dell'equilibrio e del benessere psicofisico - intesi quali componenti del diritto alla salute riconosciuto dall'art. 32 Cost. - anche in assenza di lesioni immediatamente obiettivabili (Trib Modena, 6 settembre 2004), e a prescindere dalla prova dell'esistenza di ulteriori patologie (App. Milano, 27 aprile 1984): «Il rumore, in quanto eccedente i valori della normale tollerabilità, è di per sé nocivo alla salute di chi lo deve sopportare; per realizzarsi la lesione del diritto alla salute non è quindi necessaria alcuna ulteriore prova del danno psicologico subito né del carattere ingiusto del rumore medesimo» (App. Torino, 4 novembre 1991) (in materia di irrilevanza della prova dell'ulteriore danno alla integrità psicofisica in caso di immissioni superiori la normale tollerabilità si segnalano Trib. Salerno, 3 novembre 2004; Trib. Modena, 6 settembre 2004; App. Torino, 4 novembre 1991). In difetto di prova circa la quantificazione del danno, il giudice potrà peraltro procedere ad una valutazione equitativa ex art. 1126 c.c.: se infatti in tema di responsabilità contrattuale, come extracontrattuale, vale la regola che pone sul soggetto leso l'onere di provare il danno del quale chiede la riparazione (Cass. civ., 24 maggio 2001, n. 7093), spetta però al giudice del merito il compito di liquidarne l'equivalente pecuniario, ricorrendo appunto, qualora la determinazione del preciso ammontare non sia oggettivamente possibile o appaia molto difficile, ad una liquidazione di carattere equitativo, ai sensi dell'art. 1226 c.c. (Cass. civ., 18 aprile 2001, n. 5687).
La risarcibilità del danno non patrimoniale. Oltre al danno patrimoniale di natura economica, consistente nella diminuzione di valore del bene in relazione alla sua originaria destinazione ed alle possibili modalità di godimento da parte del proprietario, si può poi configurare anche un danno biologico, nell'ipotesi in cui dalle immissioni - specie se di lunga durata - sia derivato un danno alla salute dei soggetti lesi, e, in alternativa o in aggiunta, anche un danno esistenziale, nel caso in cui dalle immissioni sia derivata un'alterazione, giuridicamente apprezzabile, dei ritmi e della abitudini di vita dei soggetti lesi. In particolare, il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all'ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell'estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa. Si rammenta peraltro che, sino al 2003, restavano esclusi dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale, non risarcibile in mancanza di fatto-reato, e le alterazioni fisico-psichiche non rilevabili con criterio medico-legale: nel 2003, con cinque "storiche" sentenze ( nn. 7281, 7282 e 7283 del 12 maggio e nn. 8827 e 8828 del 31 maggio), la Suprema Corte ammette finalmente il risarcimento del danno non patrimoniale, che non va più inteso come danno morale soggettivo, ossia come perturbamento soggettivo scaturente da fatto costituente reato, ma come qualunque lesione di un interesse non patrimoniale della persona dotato di rilievo costituzionale, rispetto ai quali beni della persona la tutela risarcitoria costituisce una forma di tutela minima indefettibile. Si chiarisce altresì che sia il danno biologico che il danno esistenziale vanno inquadrati nel danno non patrimoniale, trattandosi, in entrambi i casi, di danno non reddituale, quale conseguenza di evento lesivo che non incide direttamente sulla capacità di guadagno o patrimoniale del soggetto leso, bensì sul suo stato di salute (danno biologico) o sui rapporti extra-lavorativi, più specificamente familiari, di intrattenimento o svago, sociali, e culturali (danno esistenziale).




www.condominioweb.com 

Nessun commento:

Posta un commento