sabato 13 dicembre 2014

I rapporti tra amministratore di condominio e condomini: l’inizio e la fine di un “amore”. L’analisi dei requisiti per la nomina, la revoca e le dimissioni. Dubbi interpretativi e approfondimenti. TERZA ED ULTIMA PARTE (Avv. Accoti - www.studiocataldi.it)

TERZA ED ULTIMA PARTE DELL'ARTICOLO APPARSO SU WWW.STUDIOCATALDI.IT

Passiamo, infine, al caso delle dimissioni dell’amministratore.
Appare evidente che la nomina ad amministratore di condominio non rappresenta né una investitura divina, potendo essere revocato in qualsiasi momento dall’assemblea ma, neppure, una prigionia (paradossale ritenere che la carica sia irrinunciabile), ben potendo lo stesso dimettersi.
Ciò avviene principalmente nel caso in cui i condomini si disinteressano totalmente alla vita condominiale, non partecipando alle assemblee e, soprattutto, non versando le quote condominiali necessarie alla gestione del condominio.
In proposito un breve inciso.
In simili fattispecie occorrerebbe intervenire tempestivamente riunendo l’assemblea - anche in via straordinaria - al fine di reperire le somme necessarie all’esistenza in vita del condominio e avviare, contestualmente, tutte le procedure per il recupero coattivo del credito nei confronti del condomino moroso; magari fino alle estreme conseguenze, con il pignoramento dell’immobile in caso di persistente morosità.
Tuttavia queste procedure risultano oltre modo dispendiose, sia in termini economici che di tempo, pertanto, si è diffuso l’insano metodo di far fronte alle spese condominiali correnti con fondi personali dell’amministratore.
I motivi di detta pratica risultano facilmente comprensibili, primo tra tutti quello di non “inimicarsi” i condomini che risultano in regola con i pagamenti, sui quali normalmente andrebbero ribaltate e ripartite le quote di pertinenza dei condomini morosi e ciò per far fronte alle spese quotidiane dello stabile (energia elettrica, pulizia, amministrazione, manutenzione, ecc.).
Il più delle volte, quindi, per sopperire alla carenza di liquidità del condominio, l’amministratore provvede personalmente a ripianare le casse condominiali deficitarie, salvo poi esigere la restituzione delle anticipazioni effettuate una volta revocato ovvero dimessosi.
Questo modus operandi potrebbe risultare estremamente incauto e non privo di sorprese, stante le difficoltà che si potrebbero incontrare nel recupero del credito.
La giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto richiede, infatti, la prova rigorosa delle anticipazioni effettuate dall’amministratore.
Appare pleonastico ricordare come le singole partite di spesa devono essere sempre preventivamente approvate dall’assemblea, salvo i casi di urgenza, comunque anch’essi da dimostrare. In mancanza il credito non potrebbe essere considerato esigibile.
Tanto è vero che, l’amministratore di condominio non ha - salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti - un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall'amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell'assemblea, l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute (Cass. 27/06/2011 n. 14197).
E’ pur vero che l’approvazione del rendiconto ha valore di riconoscimento di debito, ma ciò solo per le poste passive specificamente indicate. Pertanto, non è sufficiente che il rendiconto di cassa presenti un disavanzo tra uscite ed entrate, atteso che non si può ritenere in via deduttiva che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l'importo corrispondente, atteso che la ricognizione di debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificamente sottoposto all’esame dell’organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso.
Ciò posto l’approvazione del rendiconto dell’amministratore recante un importo di spese superiore a quello dei contributi condominiali pagati dai condomini, può valere come riconoscimento di debito da parte di tutti i condomini in favore dell’amministratore, ma solo limitatamente alle poste a debito dei condomini che siano state indicate nel rendiconto con sufficiente specificità e chiarezza (Cass. 09/05/2011 n. 10153. Si confronti anche: Cass. 28/05/2012 n. 8498Cass. 04/07/2014 n. 15401).
In assenza dei requisiti e delle specificità delineate dalla giurisprudenza di legittimità l’eventuale credito dell’amministratore, rinveniente dalle anticipazioni effettuate in favore del condominio, potrebbe non risultare esigibile.
Come dicevano, le prospettate difficoltà nella gestione del condominio spesso portano gli amministratori più accorti a rassegnare le dimissioni.
Nella previgente disciplina condominiale, ma anche nell’attuale, salvo un vago riferimento (peraltro procedurale) nel novellato art. 1129 c. I c.c., il legislatore non ha disciplinato la suddetta ipotesi di dimissioni, tuttavia, non può ritenersi pensabile che lo stesso sia vincolato “a vita” alle sorti del condominio.
Occorre, infatti, sempre tenere ben presente - come detto - che la figura dell’amministratore è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza, pertanto, per tutto quanto non espressamente regolato dalla speciale disciplina “Del condominio negli edifici”, si deve fare riferimento alle norme generali sul mandato (artt. 1703-1741), ora come allora.
Specie nei casi sopra visti di diffusa morosità dei condomini, nell’impossibilità di gestire normalmente la cosa comune, le dimissioni possono e debbono essere giustificate dalla circostanza per la quale il mandante (condominio) è tenuto a fornire al mandatario (amministratore) i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni (art. 1719).
Nella ricorrenza di questi presupposti l’amministratore dimissionario non deve fare altro che comunicare formalmente al condominio la propria volontà e, quindi, convocare l’assemblea perché provveda alla nomina del nuovo amministratore.
Nell’inerzia dell’assemblea l’amministratore, già nel sistema normativo previgente e, a maggior ragione, in quello attuale (art. 1129 c. I c.c.), può adire l’autorità giudiziaria affinché provveda alla nomina del suo successore.
Tale giudizio - inquadrabile nei procedimenti di volontaria giurisdizione, di natura camerale e non contenziosa - viene definito innanzi al tribunale dove ha sede l’immobile, anche con la refusione delle spese giudiziali (cfr.: Cass. 26/06/2006 n. 14742) sostenute dal ricorrente che, pertanto, dovrebbe essere tenuto indenne da qualsiasi esborso economico.


(www.StudioCataldi.it) 

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