venerdì 6 maggio 2016

Il distacco dall'impianto termico comune non può essere condizionato da una contraria deliberazione Fonte condominioweb.com

La facoltà del singolo condòmino di distaccarsi unilateralmente dall'impianto di riscaldamento centralizzato integra un suo diritto individuale, che può essere fatto valere nei confronti del Condominio a prescindere dall'esistenza di una delibera di autorizzazione o di diniego. Questo il principio espresso dalla sentenza del Tribunale di Taranto n. 240 del 25 gennaio 2016.

Il giudice pugliese di rifà alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale il diritto dal distacco dall'impianto termico comune non può essere condizionato da una contraria deliberazione dell'assemblea di condominio che, se adottata in termini pregiudizievoli per il singolo condòmino, è tamquam non esset, cioè nulla (Cass. civ. 3.4.2012 n. 5331).La sentenza sottolinea altresì che il distacco opera per il futuro. Dunque non è consentito chiedere restituzioni o danni relativi ad anni precedenti, non potendo la rinunzia avere effetti retroattivi.
Tale impostazione, del resto, trova conferma nell'art. 1118 c.c., modificato dalla legge di riforma del condominio, che disciplina il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento. Pur non potendo applicare la nuova disciplina ad una vicenda che è precedente all'entrata in vigore della L. n. 220/2012 (18 giugno 2013), tuttavia il giudice tarantino, attraverso i precedenti della Cassazione, ha comunque risolto la controversia secondo i principi recepiti dalla riforma.
Nel caso di specie, in particolare, il condòmino si era già da tempo distaccato dall'impianto centralizzato, dotandosi di un impianto autonomo. Tuttavia, era stato costretto a continuare a pagare tutti i costi relativi all'utilizzo ed alla manutenzione dell'impianto comune.
Dopo aver chiesto invano la modifica della tabelle millesimali, il condòmino decideva di rivolgersi al giudice per essere esentato dal pagamento delle spese di consumo del combustibile e gestione dell'impianto di riscaldamento centralizzato dell'anno corrente. Il Condominio si opponeva, sostenendo l'obbligo di continuare a pagare le spese necessarie per la conservazione e la gestione dell'impianto comune. Ciò anche alla luce del fatto che l'unità immobiliare distaccata continuava a godere del calore, grazie alle tubature condominiali che circondavano l'appartamento.
Il Tribunale di Taranto, dopo aver ribadito il diritto del condòmino a distaccarsi dall'impianto di riscaldamento comune, individua le condizioni ricorrendo le quali il diritto al distacco prevalenei confronti dell'altro diritto del condominio, altrettanto meritevole di tutela, di ottenere da tutti i condòmini la partecipazione alle spese comuni.
In particolare, la rinunzia all'impianto comune non deve comportare uno svantaggio per gli altri condòmini che continuano ad usufruire del bene comune. Tanto in coerenza con il principio generale che un atto unilaterale (nel nostro caso, il distacco) non può svantaggiare coloro che ne subiscono gli effetti, fatta salva l'unanimità.
Si tratta di svantaggi che la giurisprudenza e, oggi, il nuovo art. 1118 c.c., individuano in uno squilibrio termico pregiudizievole all'impianto o in un aggravio di spese per coloro che continuano ad usufruirne, intendendo per spese quelle che strettamente connesse al distacco e che senza di questo non avrebbero avuto origine.
Solo se prova la sussistenza di tali condizioni, il condòmino potrà legittimamente distaccarsi e sarà esonerato dal pagamento del costo del combustibile, per il solo fatto di non godere più del servizio. Egli rimarrà, però, onerato del pagamento delle spese di conservazione dell'impianto e, quindi, proprio perché animate dalla stessa finalità conservativa, sia di quelle relative ad opere di manutenzione ordinaria che straordinaria (si veda in questo senso la nuova formulazione dell'art. 1118 c.c.)
Il Tribunale specifica altresì che l'efficacia del distacco, proprio perché condizionata alla verifica delle condizioni predette, vale solo per il futuro, senza effetti retroattivi. Dunque, non possono essere chieste restituzioni di somme di denaro già deliberate; la rinunzia all'impianto centralizzato può operare solo dall'anno successivo al momento della proposizione della domanda (Cass. civ. 13.11.2014 n. 24209). Naturalmente, tale regola della irretroattività del distacco si deve conciliare con il principio per cui la durata del processo non può ritorcersi in danno del condòmino che ha agito in giudizio. Ragione per cui le restituzioni saranno possibili con riguardo al periodo che va dall'anno successivo alla presentazione della domanda in poi.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto ampiamente provate le condizioni richieste e, dunque, ha dichiarato legittimo il distacco operato dal condòmino, esonerando lo stesso dal pagamento delle spese di consumo dell'impianto termico comune a decorrere dal 2013 (anno di proposizione della domanda) e non dal 2012, come richiesto in citazione.
Permane, invece, l'obbligo di contribuire alle spese di conservazione e manutenzione dell'impianto centrale.


Fonte http://www.condominioweb.com/la-facolt%E0-del-singolo-cond%F2mino-di-distaccarsi-dallimpianto-di-riscaldamento.12511#ixzz42XWL2Qex
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mercoledì 4 maggio 2016

CTU da rinnovare se non corrisponde alla realtà dei fatti - Cass. Civ. 18422/2013 (Est. Pasquale D'ASCOLA) Fonte: (www.StudioCataldi.it)

Ragionando sull'art. 844 Codice Civile l'accertamento della tollerabilità o meno delle immissioni ("di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino", stando al dettato codicistico) inerisce non già ad un presupposto processuale, ma si riferisce ad una condizione dell'azione.
Come sottoporla a verifica?
Con l'ingresso di una consulenza tecnica d'ufficio.
Ma che accade se tale indagine è stata già svolta, ma non rispecchia più la realtà dei fatti?
Occorre rinnovare la CTU.
Ciò non era stato fatto dalla Corte d'Appello di Milano con la sentenza depositata il 17 novembre 2009 di reiezione dell'impugnazione avverso l'accoglimento della domanda avanti al Tribunale di Busto Arsizio.
Il Tribunale di prime cure aveva ordinato all'officina meccanica convenuta di contenere entro i limiti di normale tollerabilità le immissioni di rumore e di vibrazioni, quantificando in € 30.000,00 il risarcimento spettante per i pregiudizi allo stabile dei vicini.
Tra l'altro, come sottolinea tra le righe la Cassazione, il giudice del gravame si è prodotto in una motivazione apparente.
La Suprema Corte menziona quale utile precedente giurisprudenziale Cass., Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9379, Pres. Corrado Carnevale, Rel. Pietro Campanile, in quel caso censurando la pronuncia della Corte d'Appello di Bari che, parimenti, aveva disatteso la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio.
Anche in tale episodio non si rinveniva alcuna valida motivazione, neppure implicita, dal momento che la CTU veniva ritenuta "scollegata dalla realtà".
Al riguardo gli Ermellini di Piazza Cavour richiamavano il condivisibile orientamento della Corte di legittimità secondo cui il giudice, quando non aderisca alla richiesta di rinnovazione delle indagini tecniche, in ordine alla quale istanza siano state mosse specifiche ragioni, è tenuto a motivare sul punto, all'evidenza intriso di decisività.
Ed allora la S.C., accogliendo il secondo motivo di ricorso, boccia l'opera del Collegio territoriale, recependo il secondo motivo di appello, malgrado le conclusioni del PM (Dr. Carmelo SGROI) che invocava il rigetto integrale del ricorso per cassazione.
Cass., Sez. II, 1° agosto 2013, n. 18422, Pres. Roberto Michele TRIOLA ed Est. Pasquale D'ASCOLA, osserva che nella fattispecie i motivi che sorreggevano l'istanza di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio non miravano affatto ad un controllo sull'operato dell'ausiliare o all'ingiustificata ripetizione di un'attività già svolta, ma sorgevano da specifici fatti nuovi di portata imponente "quale sicuramente è l'esecuzione di costosissime opere volte all'abbattimento delle immissioni".
Va aggiunto che il giudizio tecnico in atti era riferito ad interventi proposti nel 2002, vale a dire molto tempo prima rispetto alla richiesta della parte interessata alla rinnovazione, che avrebbe potuto e dovuto contemplare anche gli svariati interventi eseguiti dopo tale epoca.
Toccherà ora ad una diversa composizione e Sezione della Corte di Appello di Milano provvedere al riguardo. 


(www.StudioCataldi.it) 

sabato 30 aprile 2016

Fori di areazione ed alterazione architettonica della facciata esterna (Fonte condominioweb.com)

Il condòmino, di propria iniziativa, realizza dei fori di areazione per i propri locali coprendoli con griglie visibili sulla facciata esterna dello stabile? È consentito un intervento del genere?
Della questione si è occupato il Tribunale di Milano con la sentenza n. 13202 del 24 novembre 2015.
Nel caso specifico, una s.r.l. realizzava una serie di fori circolari di areazione con griglie di colore bianco visibili all'esterno dell'edificio. Il condominio riteneva tali opere illegittime e ne chiede la rimozione. Anzitutto, perché contrarie al regolamento condominiale contrattuale, che vieta qualsiasi opera esterna che modifichi l'architettura, l'estetica e la simmetria del fabbricato; più in generale, perché i lavori alterano il decoro architettonico dello stabile. A fronte del rifiuto della proprietaria, il condominio si rivolgeva al tribunale.
Il decoro architettonico è “insieme delle linee e delle strutture ornamentali che rappresentano la nota dominante dello stabile e che imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonia fisionomica architettonico dello stabile”. Si tratta dunque di un bene comunea tutti i condòmini (ai sensi dell'art. 1117 c.c.), come tale non modificabile per iniziativa del singolo proprietario. Ogni intervento che coinvolge il decoro architettonico va deliberato dall'assemblea, secondo le maggioranze richieste dalla legge.
Ciò premesso, nel caso in esame il tribunale ha accertato che i fori di areazione realizzati sulle facciate e ben visibili all'esterno hanno irrimediabilmente compromesso il decoro architettonico dello stabile.
Tale conclusione non può essere messa in discussione dal fatto che la facciata fosse già stata interessata, in passato, da altri interventi,che ne avevano snaturato le linee originarie. Infatti, “la contrarietà di un certo intervento con il decoro architettonico dell'edificio che tale intervento subisca (…) non viene meno per il fatto che il decoro architettonico sia già stato gravemente compromesso daprecedenti interventi sull'immobile o dal fatto che lo stabile interessato non abbia un particolare pregio artistico né presenti pregnanti linee architettoniche, bastando a tal uopo che l'intervento denunciato si rifletta negativamente sull'aspetto armonicodell'edificio” (Cass. n. 14455 del 19.06.2009).
Nel caso in esame, poi, i lavori risultano anche contrari all'art. 11 del regolamento condominiale che, come detto, vieta espressamente qualsiasi opera esterna che modifichi l'architettura, l'estetica e la simmetria del fabbricato. Divieti del genere, di natura contrattuale, possono essere superati solo ottenendo il consenso unanime di tutti i condòmini ai lavori che si vogliono realizzare sulla facciata.
Il tribunale ha dunque condannato la s.r.l. al ripristino dell'originario stato delle facciate condominiali, mediante la rimozione di tutti i foricircolari di areazione realizzati sulle facciate e l'applicazione di nuove lastre di marmodi travertino dello stesso tipo e qualità di quelle perforate. Niente risarcimento dei danni, invece, perché il giudice ha ritenuto l'intervento di ripristino idoneo a risarcire in forma specifica tutti i pregiudizi subiti dal condominio.
Un'ultima annotazione. La competenza per la soluzione delle controversie in tema di decoro architettonico spetta al Tribunale, e non al Giudice di Pace. In questi casi, infatti, si discute dell'esistenza stessa dei diritto di un condomino all'uso del bene o del servizio condominiale e sul potere dell'assemblea di consentirlo (da ultimo, Cass. civ. n. 8941 del 19.04.2011).


Fonte http://www.condominioweb.com/fori-di-areazione-sulla-facciata-e-alterazione-del-decoro.12508#ixzz42XSmQL5Y
www.condominioweb.com 

giovedì 21 aprile 2016

Condominio: no all'ascensore esterno se limita la visuale Fonte: www.StudioCataldi.it

La Cassazione ricorda che i poteri dell'assemblea trovano un limite invalicabile nell'intangibilità della sfera di proprietà del singolo proprietario
Nel condominio di edifici, l'assemblea è autorizzata ad esercitare numerosi poteri, tassativamente fissati dal codice civile.
Nel farlo, però, non deve dimenticare di rispettare dei limiti invalicabili. Uno di questi? Non invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini.
Con la sentenza numero 4726/2016, depositata il 10 marzo (qui sotto allegata), la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto nulla una delibera assembleare con la quale era stata approvata la costruzione di un ascensore esterno, poiché la gabbia di questo limitava la visuale di uno dei proprietari.
Più in particolare i giudici hanno affermato che l'intangibilità della sfera di proprietà dei singoli condomini riguarda sia le cose comuni sia le cose esclusive e può essere superata solo se vi è stata una specifica accettazionenei singoli atti di acquisto o mediante l'approvazione di un regolamento condominiale che la preveda.
Non bisogna poi dimenticare che ai sensi dell'articolo 1102 del codice civile, l'uso della cosa comune è sottoposto al divieto per ciascun partecipante di alterare la destinazione della stessa e impedire agli altri di farne un uso secondo il loro diritto.
Le attività innovatrici, insomma, sono consentite solo in quanto non alterino la destinazione della cosa comune né ostacolino il pari uso secondo il diritto di ciascuno.
Peraltro, dato che la delibera che viola tale principio non è solo annullabile ma nulla, con riferimento ad essa non trova applicazione il rimedio che l'articolo 1137 c.c. offre per l'impugnazione delle delibere condominiali.
Con buona pace del condominio, la condanna alla demolizione del manufatto e al risarcimento del danno cagionato supera anche il vaglio della Cassazione.

Fonte: Condominio: no all'ascensore esterno se limita la visuale 
(www.StudioCataldi.it) 

lunedì 11 aprile 2016

I condomini minimi possono usufruire della detrazione IRPEF senza codice fiscale Fonte condominioweb.com

L'Agenzia delle Entrate ha riconsiderato la peculiarità organizzativa e strutturale del "condominio minimo", svincolandola all'esigenza di dotarlo di un codice fiscale
Con circolare 21 maggio 2014, n. 11/E (paragrafo 4.3), l'Agenzia delle Entrate ha precisato che in presenza di un "condominio minimo", e cioè di un edificio composto da un numero non superiore a otto condomini (prima delle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012 all'articolo 1129 c.c. il riferimento era a quattro condòmini), rimangono applicabili le norme civilistiche sul condominio, ad eccezione degli articoli 1129 e 1138 c.c., che disciplinano, rispettivamente, la nomina dell'amministratore (nonché l'obbligo da parte di quest'ultimo di apertura di un apposito conto corrente intestato al condominio) e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condomini).
Allo stesso modo, il predetto Agente ha ricordato che per gli interventi realizzati sulle parti comuni di tali edifici residenziali, la fruizione dell'agevolazione rimaneva subordinata - e ciò, bene inteso, fin dall'entrata in vigore della legge n. 449 del 1997 (che ha introdotto la detrazione in esame) - alla circostanza che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell'amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compreso quello propedeutico della richiesta del codice fiscale.
Ci si è chiesti allora se la fruizione della detrazione nei condomini minimi rimanga subordinata, anche per il nuovo periodo di riferimento,alla cura di questo ultimo adempimento.
L'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n 74/E del 02 febbraio 2016 ha dato risposta al quesito, cambiando la prassi che si è seguita sino ad oggi.
L'esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti ha, in particolare, condotto a riconsiderare le istruzioni precedentemente fornite, enfatizzandosi la peculiarità strutturale dei condomini minimi e le modalità con cui essi vengono in genere autogestiti dai singoli partecipanti.
Ed invero, nel presupposto che il pagamento sia stato effettuato mediante l'apposito bonifico bancario/postale e che, quindi, non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane Spa dell'obbligo di operare la ritenuta disposta dall'art. 25 del D.L. n. 78 del 2010 all'atto dell'accredito del pagamento, l'Agenzia delle Entrate ritiene, a questo punto e per tali fattispecie, che non sia più necessario acquisire il codice fiscale del condominio.
Nel qual caso, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, i condòmini, per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico.
In sede di eventuale controllo - ricorda sempre la risoluzione - il condòmino/contribuente sarà poi tenuto a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell'edificio, e, laddove si avvalga dell'assistenza fiscale, è tenuto ad esibire, a monte, ai CAF o agli intermediari abilitati, oltre alla documentazione ordinariamente richiesta per comprovare il diritto alla agevolazione, una autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio.


Fonte http://www.condominioweb.com/condominio-minimo-svilcolato-dal-codice-fiscale.12507#ixzz42XXm0KM1
www.condominioweb.com 

mercoledì 6 aprile 2016

"La contabilità condominiale" - nuovo manuale sulla contabilità del condominio edito da Altalex editore


Una volta tanto ci facciamo un po' di pubblicità….. volevamo segnalare che è uscito il manuale "La contabilità condominiale", inserito nella collana InDiritto di Altalex editore, curato da Simone Berti, Simone Scartabelli, Claudia Caravati e Pietro Fruzzetti. Il manuale tratta la gestione “contabile” del condominio, con l’utilizzo delle nuove tecnologie e dello strumento dei social.
La riforma del condominio, introdotta dalla L. n. 220/2012 ed entrata in vigore il 18/06/2013, ha portato alcune innovazioni nell’articolato del Codice Civile e sono state previste conseguenze all’inosservanza del novellato che portano al mancato rinnovo del mandato dell’amministratore condominiale od alla sua revoca. L'art. 1129 c.c. ha reso necessario il principio della tracciabilità delle somme di gestione condominiale. È stata data la possibilità alla pubblica amministrazione di chiedere documentazione e dati propri della gestione contabile del condominio, esercitando così un più diretto potere di controllo e verifica.
L’intento che gli autori si sono prefissi è stato proprio quello di “parlare la stessa lingua” di chi lo leggerà, identificandosi in chi si imbatte nelle problematiche che l’amministratore condominiale 3.0 affronta ogni giorno nella propria attività lavorativa.

Il manuale in versione ebook è acquistabile al link che segue: 

http://shop.wki.it/Altalex_Editore/eBook/eBook_La_contabilita_condominiale_s580632.aspx?utm_source=utilla.it&utm_medium=referral&utm_content=resupage&utm_campaign=shopwki

sabato 26 marzo 2016

Auguri di Buona Pasqua…..

Un grandissimo augurio a tutti quelli che ci seguono sul nostro blog ed a quelli che inizieranno a farlo nei prossimi mesi…. Che la Pasqua sia serena e ricca di prosperità…

Simone, Claudia e Luca

martedì 22 marzo 2016

Aree destinate a parcheggio e diritto reale d'uso da parte dei condòmini Parcheggi in condominio: il discrimine è costituito dalla data di acquisto dell'immobile. Fonte www.condominioweb.com

La materia è stato oggetto di una congerie di interventi, più o meno recenti, che hanno reso particolarmente complicata l'intellegibilità della disciplina, tanto che in merito si registrano numerosi interventi giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, anche a Sezioni Unite.
Di recente la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sull'argomento, con la sentenza n. 4301, del 4.03.2016.
La norma cardine è rappresentata dall'art. 41 sexies, della legge 17.08.1942, n. 1150, più volte modificato, la cui attuale formulazione risulta la seguente: “Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione. Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”.
Il suddetto art. 41 sexies, è stato aggiunto dall'art. 17, legge 6.08.1967 n. 765 e, quindi, sostituito dall'art. 2, II co., legge 24.03.1989, n. 122, mentre il secondo comma dell'art. 41 è stato aggiunto solo con decorrenza 1.12.2005, dall'art. 12, IX co., legge 28.11.2005, n. 246.
Sostanzialmente, si è passati dal vincolo pertinenziale del parcheggio in favore dell'edificio al quale era annesso, che prescindeva peraltro dalla proprietà della suddetta area di posteggio, in virtù di preminenti interessi pubblici, alla libera commercializzazione e, pertanto, alienabilità di dette aree, con esclusione pertanto del vincolo pertinenziale a favore dell'edificio circostante.
Tuttavia, ai fini dell'applicazione della suddetta norma occorre fare attenzione alla disposizione vigente ratione temporis, in relazione alla data di stipula dell'atto di acquisto.
Ed invero, con riferimento alla data di stipula del rogito notarile potrà risultare applicabile la norma previgente ovvero quella di cui alla formulazione attuale.
Di tanto si è occupata nuovamente la Corte di Cassazione, chiamata a risolvere una questione relativa alla nullità della clausola contrattuale con la quale il costruttore di uno stabile in Condominio, si era riservato la proprietà dell'area destinata a parcheggio senza prevedere, al contempo, il diritto d'uso in favore dei condòmini acquirenti.
Per tale motivo un gruppo di condòmini adiva il tribunale del luogo dove era ubicato lo stabile, per sentire dichiarare la nullità dell'anzidetta clausola contrattuale, con l'opposizione del convenuto il quale negava detto diritto e, in subordine, chiedeva riconoscersi il suo diritto all'aumento del prezzo pagato per la compravendita in virtù del reclamato uso dell'area di parcheggio.
La domanda veniva integralmente accolta in primo grado, con la declaratoria del diritto d'uso in favore degli acquirenti sull'intera area di parcheggio e la corresponsione, in favore del costruttore, di una integrazione sul prezzo originario d'acquisto.
Sul gravame proposto dagli eredi del costruttore, la Corte d'Appello, riformava parzialmente la decisione, confermando il diritto di uso sulle aree destinate a parcheggio nella misura di un metro quadrato per venti metri cubi di volume delle rispettive unità abitativa, siccome imposto per legge, tuttavia, su di un'area di minore estensione rispetto a quella indicata nella licenza edilizia.
La Suprema Corte, sul ricorso proposto dagli eredi del costruttore, affidato a cinque motivi, ritenuti in parte inammissibili e in parte infondati, lo rigettava.
In concreto, veniva eccepito che l'art. 41 sexies L. 1140/1942 - già modificato dall'art. 26 L. 47/1985 - era stato emendato retroattivamente dall'art. 12, comma 9° L. 266/2005, che aveva esclusiva valenza interpretativa del precedente postulato e che, comunque, una diversa interpretazione della modifica legislativa, che si limitava a stabilire il mero rapporto dell'area da destinare a parcheggio (un m2 ogni venti mcostruzione) senza alcuna previsione del diritto d'uso sotto pena, in mancanza, di una privazione del diritto di proprietà e la conseguente incostituzionalità della norma.
La Corte ricorda come: “secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l'art.12, nono comma, della legge 28 novembre 2005, n. 246, che ha modificato l'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, non ha effetto retroattivo, né natura imperativa; ne consegue che la disciplina anteriore, di cui al citato art. 41 sexies delle legge n. 1150 del 1942, con cui si attribuisce al soggetto che abita stabilmente l'unità immobiliare sita nell'edificio un diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio interno, che non ecceda il limite ivi prescritto, trova applicazione nei casi in cui, al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, risultino già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari (Cass, 9090 /2012; 4264/2006)”.
Di talché, qualora l'acquisto dell'immobile sia avvenuto entro il 16 gennaio 2005, data di entrata in vigore della legge n. 266 del 28.11.2005, risulta applicabile la precedente formulazione dell'art. 41 sexies (“Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”), con il correlativo diritto d'uso dell'area di parcheggio per coloro che abitano stabilmente l'immobile.
Viceversa, qualora l'atto di acquisto sia stato stipulato dopo il 16 gennaio 2005, in ragione del nuovo regime di libero trasferimento dell'area destinata a parcheggio, non può ritenersi sussistente alcun diritto d'uso sullo stesso da parte del condomino acquirente.
Continua la Suprema Corte, ritenendo insussistente anche la dedotta possibile incostituzionalità della norma, peraltro, già passata indenne al vaglio della Corte Costituzionale, a tal proposito, infatti, afferma che: “il diritto di proprietà nasce conformato dalla limitazione legale derivante dalla (inderogabile) destinazione dell'area a parcheggio nei limiti di legge e del provvedimento amministrativo, con la conseguente nullità delle clausole contrarie intercorse fra il costruttore e gli acquirenti. … Infatti detta norma, nel disporre che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbano essere riservati appositi parcheggi, pone un limite al diritto di proprietà per il perseguimento di un pubblico interesse, conformemente a quanto previsto dall'art. 42 Cost.; nè il vincolo così creato comporta un parziale sacrificio del diritto di proprietà, atteso che il venditore, nello stabilire il prezzo delle costruzioni, normalmente tiene conto anche del valore dell'area destinata a parcheggio”.


Fonte http://www.condominioweb.com/parcheggi-il-discrimine-costituito-dalla-data-di-acquisto.12520#ixzz42ykQ2DxO
www.condominioweb.com 

lunedì 14 marzo 2016

Corso Base abilitante all'attività di Amministratore condominiale presso il Collegio Geometri di Novara

Segnaliamo che il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati di Novara ha organizzato il corso base abilitante per l'attività di Amministratore di condominio. 

Il corso è erogato ai sensi del D.M. 140/14 ed è altresì valido per i crediti formativi per i geometri iscritti.

Le ore totali del corso sono 88, compresa la prova di valutazione finale, spaziando tra i tanti argomenti necessari per svolgere il compito di amministratore condominiale.
Dall'inquadramento normativo agli aspetti legali, dagli obblighi e doveri dell'amministratori alla contabilità condominiale, dalla sicurezza negli edifici alla gestione delle controversie, dal risparmio energetico alla contabilizzazione del calore, il corso di snoda su 11 lezioni a partire dal 19 Aprile fino al 28 Giugno 2016, e con l'apporto di geometra, architetto, ingegnere, avvocato, commercialista, termotecnico fornisce le nozioni importanti e basilari per gestire un condominio.


Per informazioni ed iscrizioni si può contattare la Segreteria del Collegio dei Geometri e Geometri Laureati di Novara - Tel. 0321 628225 - Fax. 0321 36064
segreteria@geometri.novara.it

venerdì 11 marzo 2016

La seconda auto davanti ai box si può parcheggiare Fonte condominioweb.com

È legittima la delibera, assunta con il voto favorevole della maggioranza dei condomini rappresentanti la metà del valore dell'edifico, che autorizza i condòmini a parcheggiare la seconda autovettura in prossimità del proprio garage
La proprietaria di un appartamento collocato all'interno di un edificio condominiale, con ricorso ex art. 1137 c.c., impugna la delibera assembleare che, apportando modifiche all'art. 2 del Regolamento condominiale, riconosce ai singoli condomini la possibilità di parcheggiare la seconda auto in prossimità dei propri garage.
La ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio conclusosi con la sentenza in commento ribadisce che la delibera è stata adottata in violazione delle norme antincendio (Decreto Ministero dell'Interno 1.2.1986), nonché in violazione del principio sancito dal terzo comma dell'art. 1120 del codice civile secondo cui sono vietate le delibere che pregiudicano la stabilità o la sicurezza dell'edificio che ne alterino il decoro architettonico e che rendano talune parti comuni inservibili all'uso anche di un solo condomino.
La ricorrente, inoltre, a tal riguardo puntualizza che il parcheggio della seconda auto davanti ai box dei singoli condomini "avrebbe potuto compromettere la tempestività e l'efficacia di alcuni interventi di soccorso, ovvero l'accesso ed il transito di mezzi quali ambulanze o veicoli dei vigili del fuoco".
Il Tribunale di Vicenza respinge tutti i motivi posti dalla ricorrente a fondamento del ricorso per l'annullamento della delibera dell'assemblea condominiale.
In particolare, precisa la sentenza, la delibera in questione che, ricordiamo, autorizza tutti i condomini al parcheggio della seconda autovettura dinanzi ai propri boxnon determina un pericoloso restringimento dell'area comune che, così come organizzata e strutturata, consentirebbe comunque anche il transito agevole di mezzi di soccorso.
Per quanto riguarda, invece, la presunta violazione della normativa antincendio ad opera della delibera impugnata, la sentenza ha puntualizzato che il motivo è infondato poiché la normativa richiamata dalla ricorrente (Decreto del Ministero dell'Interno del 1.2.1986 punto 3.6.3) si riferisce alle autorimesse con possibilità di ricovero di veicoli di numero superiore a nove, mentre nel caso di specie oggetto della delibera in questione sono i singoli box ai quali si accede dall'area comune nei confronti dei quali trova applicazione quanto sancito dal punto n. 2 del citato decreto ministeriale che prevede uno spazio per l'accesso dei mezzi di soccorso pienamente rispettato anche in seguito a quanto autorizzato dalla delibera oggetto di impugnazione.
Sempre in merito alla piena legittimità della delibera in questione la sentenza ha puntualizzato che la stessa, senza riconoscere diritti reali ai singoli condomini, ha solamente introdotto una ulteriore modalità di utilizzo della cosa comune consentendo di parcheggiare le auto dinanzi ai box di proprietà dei singoli condomini, nell'area destinata al parcheggio e transito di veicoli già precedentemente individuata dalla planimetria allegata al Regolamento condominiale.
In pratica valutati i vari aspetti la sentenza in commento, disattendendo la tesi della ricorrente, ha evidenziato che la delibera in questione:
a) Non crea alcuna disparità di trattamento tra i condomini, in quanto autorizza tutti i condomini inclusa la ricorrente a parcheggiare l'eventuale seconda vettura dinanzi al proprio garage e quindi può essere adottata con le maggioranze previste dall'art. 1136 del codice civile ( voto favorevole dei condomini che rappresentano la metà del valore dell'edificio),
b) Non determina alcuna modifica alla destinazione d'uso del bene comune;
c) Non lede i diritti acquisiti da singoli condomini;
d) Infine il parcheggio delle seconde autovetture dinanzi ai box, così come appurato, consente comunque l'eventuale accesso e transito nell'area comune di mezzi di soccorso senza alcuna difficoltà.
il Tribunale di Vicenza rigetta il ricorso del condòmino che considerava illegittima la delibera in questione, e con la condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese di giudizio.




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