giovedì 16 aprile 2015

Rinuncia alla quota di comproprietà: L’atto vale come donazione indiretta (Fonte Sole 24 Ore)



La rinuncia alla quota di comproprietà è stata presa in esame dalla Cassazione (sentenza n. 3819 del 25 febbraio 2015) sotto un particolare aspetto: e cioè se essa si possa configurare come una «donazione indiretta».
La risposta della Suprema corte è stata positiva. Per comprendere bene questo problema, occorre riflettere sulla motivazione che spinge un comproprietario a rinunciare alla propria quota. Spesso, chi rinuncia lo fa perché considera la quota rinunciata come una situazione fastidiosa, in quanto essa non provoca vantaggi, ma produce spese e responsabilità.
Non manca però il caso di chi rinuncia a una comproprietà con l’intento di beneficiare coloro che subiscono l’accrescimento della propria quota di comproprietà per effetto della altrui rinuncia: si pensi al caso dei coniugi, che siano comproprietari di un appartamento. Se uno di essi intenda fuoriuscire dalla comproprietà a beneficio dell’altro coniuge, si può percorrere senz’altro la strada della donazione (che è il metodo più “classico”), ma si può indubbiamente ricorrere anche alla rinuncia unilaterale alla quota di comproprietà, con l’effetto che l’altro coniuge, beneficiando della rinuncia, diviene proprietario esclusivo del bene in questione.
In quest’ultimo caso, dunque, ciò che attiva la rinuncia alla quota di comproprietà è l’intento di accrescere il patrimonio dei comproprietari (o del comproprietario) che beneficia dell’effetto espansivo della propria quota a causa dell’altrui rinuncia. In quest’ultimo caso si assiste dunque a una «donazione indiretta», vale a dire che, senza stipulare una «donazione diretta» (per tale si intende l’atto notarile di donazione, stipulato in presenza di due testimoni), si raggiunge lo stesso risultato, e cioè il depauperamento del patrimonio del donante e l’accrescimento del patrimonio del donatario, il tutto per spirito di liberalità.
Raggiungere lo stesso risultato di una donazione diretta mediante una indiretta (che è pur sempre un atto notarile – perché deve essere trascritto nei Registro immobiliari e volturato in Catasto – ma diverso dalla donazione tecnicamente intesa) ha un importante rilievo pratico, tenuto altresì conto che in questo caso la tassazione dei due atti è la stessa: infatti, è abbastanza sconsigliabile procedere alla donazione diretta di beni immobili, quando allo stesso risultato si possa pervenire mediante atti diversi, in quanto diventa indubbiamente assai complicata la circolazione di un bene che, nella sua “storia”, abbia avuto un passaggio per donazione diretta.
Questo perchè chi compra quell’immobile può avere il timore di vedersi coinvolto in cause ereditarie che insorgano tra gli stretti congiunti del donante, una volta che questi sia deceduto; inoltre, le banche nella massima parte dei casi rifiutano di prendere ipoteche su beni che siano stati oggetto di donazione e quindi non ne finanziano l’acquisto.
La donazione indiretta non fa sorgere queste complicazioni. Peraltro, la donazione indiretta, sotto ogni altro aspetto, ha la medesima regolamentazione di quella diretta: in entrambi i casi, dunque, si applicano le norme sull’azione revocatoria (qualora la rinuncia sia lesiva dei diritti dei creditori del rinunciante) e quelle sulla tutela dei legittimari del rinunciante, qualora la rinuncia comporti la violazione dei diritti di legittima di costoro.

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